La violenza contro le donne persiste all’interno della maggior parte delle società del mondo, al punto che viene ancora considerata dai più come un aspetto “inevitabile” della realtà. È invece un problema sociale, sistemico, perpetuato anche da individui non violenti, basato sistemi di pensiero che ne giustificano l’esistenza, e per questo lo normalizzano.

È di fatto una dinamica di potere, tenuta in piedi da individui allineati all’interno di una cultura che considera le donne inferiori e destinate a precisi ruoli all’interno della società. Chi si oppone o supera i limiti imposti dal proprio ruolo, può aspettarsi il tipo di ritorsioni solitamente riservate ad individui “pericolosi”, passando dall’esclusione sociale, alla violenza fisica, fino all’uccisione.

Cos'è la cultura della violenza contro le donne
L’artista di pop art italiano Alexsandro Palombo ha raffigurato alcune politiche come vittime di violenza, nella Just because I am a woman, solo perché sono donna © Miguel Medina/Afp/Getty Images

Cos’è il patriarcato e come alimenta la cultura della violenza contro le donne

Ogni aspetto di una cultura è socialmente costruito dall’interazione tra il livello di comprensione della realtà, l’interpretazione che gli viene data e le dinamiche di potere che si vogliono creare al suo interno. Nel momento in cui un gruppo vuole avvantaggiarsi, ecco che costruirà un sistema di pensiero e di controllo sociale per giustificare la subalternità e quindi lo sfruttamento di un altro gruppo, normalizzando questa relazione. È in questo modo che si teorizza sia nato il patriarcato, una cultura con diverse declinazioni, che ha giustificato la violenza contro le donne per secoli.

Nel sistema patriarcale il potere primario come l’autorità morale, politica e di controllo sulle risorse, è riservata ai maschi, mentre alle femmine è riservato il ruolo della cura famigliare. Ci sono sociologi che hanno teorizzato che i ruoli di genere fossero la “naturale” risposta alle differenze biologiche tra uomini e donne. Il presunto legame tra biologia e comportamento di genere è stato però screditato dall’ampia variabilità dei ruoli registrati in diverse società indigene e preindustriali. Gli studi degli antropologi Margaret Mead e George Murdock sono stati fondamentali per smantellare, almeno sotto l’aspetto della ricerca scientifica, la convinzione che il legame tra biologia e comportamento sociale fosse così stringente da non poter lasciare spazio a nessuna variabile, trasformando “l’anatomia” delle persone in un “destino” che per definizione è inevitabile e che quindi non si può cambiare.

L’Italia garantisce assistenza legale gratuita a tutte le vittime di violenza
Gli uomini devono essere parte della soluzione della violenza contro le donne © Andreas Solaro/AFP/Getty Images

Eppure, convinzioni come il fatto che le donne siano più indicate a prendersi cura della famiglia, dato che partoriscono e allattano, sono a tutt’oggi radicate nel sentire comune. Le donne hanno trovato nel tempo il modo di sfidare le convenzioni sociali, dimostrare le loro capacità e conquistare pari diritti. Momenti storici drammatici come la Seconda guerra mondiale ne sono un esempio: con gli uomini al fronte ecco che le donne, si sono ritrovate in fabbrica a lavorare e produrre senza nessuna differenza rispetto agli uomini che prima occupavano quelle posizioni. Alla fine della guerra c’è stato il tentativo di reclamare quello spazio come meramente maschile, ma l’esperienza condivisa di milioni di donne prevalse, provando che non c’era un reale motivo per limitare il loro accesso al mondo del lavoro. Questo fu un primo passo che portò ad altre battaglie, perché il pregiudizio di fondo che le donne fossero inferiori agli uomini rimase. Le lotte per la parità salariale, il diritto al divorzio e all’accesso all’aborto sono solo alcuni esempi che provano come la presunta inferiorità delle donne abbia continuato ad essere usata per discriminarle.

La responsabilità degli uomini

È questa cultura che giustifica la violenza degli uomini contro le donne. Oggi le donne hanno pari diritti, e nessuno si permetterebbe di dichiarare una qualche loro inferiorità, ma la cultura patriarcale permette che le loro vite siano ancora viste in funzione di quelle degli uomini e che nei fatti siano discriminate e subiscano livelli di violenza che non sarebbero altrimenti tollerati.

Oggi le donne hanno pari diritti, e nessuno si permetterebbe di dichiarare una qualche loro inferiorità, ma la cultura patriarcale permette che le loro vite siano ancora viste in funzione di quelle degli uomini e che nei fatti siano discriminate e subiscano livelli di violenza che non sarebbero altrimenti tollerati.

Gli uomini, all’interno di questo paradigma, sembrano non avere responsabilità, ma essere loro stessi le vittime del comportamento delle donne. Sono violenti nei loro confronti perché non si comportano come dovrebbero, non soddisfacendo quindi ai loro bisogni. Fuoriuscendo dal loro ruolo di genere, sono loro che provocano gli uomini e per questo meritano di essere educate e controllate, in altre parole la responsabilità dell’essere oggetto di una violenza è loro (“se la sono cercata”).

Sarah Everard e la violenza contro le donne
Nel Regno Unito il 97 per cento delle donne dichiara di aver subito una qualche forma di violenza sessuale © Hollie Adams/Getty Images)

Nella cultura patriarcale il controllo e la violenza sono esaltati come naturale espressione dell’essere uomo. La violenza contro le donne è quindi, più o meno direttamente, incoraggiata anche in ambito sessuale e le sue conseguenze minimizzate ponendo spesso maggiore attenzione al comportamento della vittima (Perché era fuori a quell’ora? Com’era vestita? Perché non ha gridato? Perché ci ha messo 8 giorni a denunciare?) piuttosto che a quello dell’aggressore.

Nel libro “Trasformare la cultura dello stupro” Emilie Buchwald, Pamela R. Fletcher e Martha Roth descrivono perfettamente come la cultura patriarcale porta a giustificare la violenza sessuale: “Le donne percepiscono un continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino allo stupro stesso. Una cultura dello stupro condona come ‘normale’ il terrorismo fisico ed emotivo contro donne. Nella cultura dello stupro sia gli uomini che le donne assumono che la violenza sessuale sia ‘un fatto della vita’, inevitabile come la morte o le tasse”.

Nella cultura dello stupro sia gli uomini che le donne assumono che la violenza sessuale sia ‘un fatto della vita’, inevitabile come la morte o le tasse

Emilie Buchwald, Pamela R. Fletcher, Martha Roth

Come contrastare la cultura della violenza contro le donne

Le statistiche confermano che gli uomini sono i principali esecutori di molestie, stupri e uccisioni verso le donne. È così frequente che le donne vengano uccise da uomini per non aver rispettato in qualche modo le aspettative di genere nei loro confronti che si è dovuto creare un termine specifico, femminicidio.

Chi non è violento e rispetta le donne si separa da questi atti, non riconoscendo però che gli uomini che compiono queste violenze non sono un’anomalia, ma il risultato di una cultura che contribuiscono a perpetuare. Non mettendo in discussione modelli di mascolinità tossica, ridendo a una battuta sessista, non condannando un comportamento inappropriato, diventano complici di un sistema sociale che opprime e mette in pericolo le donne ogni giorno.

La violenza contro le donne è un problema maschile © Hollie Adams/Getty Images

Jakson Katz, attivista e ricercatore, ha dedicato la sua vita a lavorare con gli uomini per risolvere il problema della violenza di genere e raggiungere una piena uguaglianza. Nel suo lavoro sottolinea come sia necessario riconoscere non solo che questo fenomeno esiste, ma che gli uomini hanno il dovere di contribuire a risolverlo perché ne sono la causa. Il loro coinvolgimento attivo a fianco delle donne è necessario per risolvere il problema alla radice. Soprattutto in questo momento storico in cui si sta assistendo a una regressione dei diritti delle donne.

L’esempio più recente è quello della Turchia, ufficialmente uscita dalla Convenzione di Istanbul, strumento internazionale che riconosce che la violenza contro le donne non sarà sradicata senza affrontare alla sua base le convinzioni, gli atteggiamenti e le istituzioni che la sostengono. Il ritiro della Turchia è un segnale allarmante, sintomo dell’instabilità generalizzata che moltissimi paesi stanno affrontando e che si aggiunge al dramma degli attacchi che donne, ragazze e bambine affrontano ogni giorno ai loro diritti più fondamentali. La speranza è che il genere femminile guadagni al più presto il supporto attivo di quegli uomini che già le rispettano e che possono fare la differenza, alzando la propria voce e diventando essi stessi nuovi modelli di mascolinità.

Capovolgere la prospettiva significa smettere di parlare di violenza contro le donne in generale, e iniziare a parlare invece di uomini violenti contro le donne. Responsabilizzare uomini nella creazione di modelli maschili sani per altri attorno a loro significa renderli parte positiva e attiva della soluzione, e veri alleati delle donne.