Quando si parla di biodiversità, semplificando, si intende la ricchezza di vita sulla terra, ovvero i milioni di piante, animali e microrganismi che esistono, i geni che contengono e i complessi ecosistemi che costituiscono. Un patrimonio genetico fondamentale per l’agricoltura e per la nostra sicurezza alimentare, un patrimonio che però, oggi, è sempre più minacciato. 

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Le pesche nettarine dell’azienda agricola Cimbalona di Faenza (Ra) © Biorfarm

Nel 2019, il primo rapporto della Fao sullo Stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura lanciava l’allarme sulla rapida scomparsa della biodiversità a causa dei cambiamenti nell’uso e nella gestione della terra e dell’acqua, dell’inquinamento, dello sovra-sfruttamento, dei cambiamenti climatici, della crescita della popolazione e dell’urbanizzazione, e faceva un appello per “produrre cibo senza danneggiare il nostro ambiente.” Esistono, infatti, pratiche agricole compatibili e rispettose della biodiversità, come l’agricoltura biologica e l’agroecologia, approcci che sempre più agricoltori decidono di perseguire. 

Biodiversità è resilienza

Per Daniele Bucci, 33 anni, proprietario dell’azienda agricola Cimbalona di Faenza (Ra), quello dell’agricoltore è sempre stato il lavoro più bello del mondo, ma con il tempo l’ha sempre più inteso come una grande responsabilità nei confronti della Terra e delle generazioni future: “Mi sono appassionato all’agricoltura grazie a mio nonno che mi ha trasmesso la gioia di fare questo mestiere. Quando ho preso in mano la gestione dell’azienda di famiglia conducevo un tipo di agricoltura convenzionale, ma in seguito, studiando e viaggiando, ho scelto di convertire l’attività al metodo biologico. I campi non sono una fabbrica di prodotti, occorre un approccio integrato dove la produzione agricola è in equilibrio con la natura”. Daniele coltiva susine, pesche nettarine, ciliegie, albicocche, mele, melagrane, piante orticole e uva e per lui la biodiversità consiste sia nella ricchezza del suolo, che semina con colture da sovescio, sia in quella della superficie dei terreni: qui, tra le coltivazioni, piccole e alternate, mantiene siepi, viali alberati ed erba alta dove si possono annidare quegli insetti fondamentali all’equilibrio e alla resilienza dell’ecosistema agricolo. 

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Daniele Bucci nei campi della sua azienda agricola a Faenza (Ra) © Biorfarm

Dalla biodiversità agricola a quella umana

Nell’affascinante storia di Ilaria Campisi, 49 anni e un’azienda agricola a Caulonia (Rc), la passione per l’agricoltura, che si è annidata in lei fin da piccola quando trascorreva le giornate in campagna, ha prevalso sugli studi di giurisprudenza fatti da giovane: una volta terminata l’università, ha deciso infatti di recuperare i terreni di famiglia che versavano in stato di abbandono. Liberando gli agrumeti dai rovi, Ilaria si è dimostrata subito sensibile verso quelle cultivar del territorio, come l’arancio biondo di Spina e il sanguinello antico, che negli anni erano scomparse a favore di varietà più commerciali. Un’intuizione che si è fatta più forte quando, rovistando in un vecchio baule ritrovato nella sua proprietà, Ilaria trova un documento speciale: “Si trattava di un’annotazione del mio prozio che indicava la data di piantumazione di alcuni nostri alberi, il 19 marzo 1922. Lo stesso giorno in cui, cinquant’anni dopo, nascevo io”. Una coincidenza che Ilaria interpreta come un segno del destino e che la spinge a continuare sulla strada intrapresa.

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Ilaria Campisi in campagna con le sue arance © Biorfarm

“La resistenza di queste piante secolari non è paragonabile a quella delle nuove cultivar e ci suggerisce come la biodiversità possa rendere più forte e resiliente il nostro mondo e regalarci esperienze sensoriali uniche, ad esempio gustando un’arancia che al primo morso è acidula e aspra, ma che poi rivela un dolce sentore di pesca”. E dove c’è biodiversità, per Ilaria c’è bellezza: “Un agrumeto moderno è ordinato, pulito, senza siepi o altri alberi che possano togliere spazio alla produzione, ma in esso si perdono le peculiarità uniche del paesaggio”, i cui custodi, secondo Ilaria, sono proprio gli agricoltori. “La cura del territorio non può essere delegata solo alle istituzioni e difendere l’ambiente non significa mantenerlo immobile, ma diventarne parte rispettandolo. Faccio un esempio: un bioparco è come una bellissima casa, ma una casa-museo; un’azienda agricola, invece, è una casa vissuta dove chi ci abita instaura delle relazioni con quello che lo circonda, con la natura, ma anche con le persone”. Per questo l’azienda di Ilaria promuove il progetto degli “orti in giardino” dove chi lo desidera può raccogliere la verdura o semplicemente trascorrere del tempo in relax e dove vengono organizzati spettacoli teatrali, conferenze, momenti artistici. “Queste iniziative ci aiutano a fare rete e hanno favorito anche l’integrazione nella comunità dei nostri collaboratori, uno proveniente dal Senegal e uno dal Mali”. Perché, non dimentichiamocelo, anche la biodiversità umana va protetta.