Il bilancio delle vittime tra i manifestanti pro-democrazia nel Myanmar si è aggravato domenica, alla settima settimana di proteste contro la giunta militare che ha preso il potere con un colpo di stato il 1 febbraio scorso. La repressione dell’esercito ha causato la morte di 74 persone soltanto il 14 marzo, il giorno più drammatico, in questo senso, dall’inizio della rivolta. Almeno altre 20 persone sono state uccise lunedì 15 marzo, secondo quanto riporta l’Assistance Association for Political Prisoners, una organizzazione fondata da ex prigionieri politici birmani.

183 persone sono state uccise dall’inizio delle proteste contro il colpo di stato in Myanmar © Stringer/Getty Images

Nel Myanmar imposta la legge marziale

Domenica i militari hanno imposto la legge marziale in sei distretti di Yangon. Almeno 22 persone sono state uccise nel distretto industriale di Hlaing Thar Yar, dove due fabbriche di abbigliamento cinesi sono state date alle fiamme da ignoti. L’ambasciata di Pechino nel Myanmar ha chiesto di proteggere proprietà e cittadini cinesi nel paese asiatico. La Cina è la maggiore potenza della regione ed è stata criticata per non aver condannato fermamente il colpo di stato. La legge marziale è stata imposta lunedì anche a Mandalay, una città al centro del territorio birmano. Questo significa che i manifestanti potranno essere processati davanti a una corte militare.

A livello internazionale numerose diplomazia hanno condannato il colpo di stato. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno risposto con sanzioni contro i vertici militari. Mercoledì scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato le violenze perpetrate “contro i protestanti pacifici, incluse donne, giovani e bambini e chiede la liberazione dei prigionieri arbitrariamente detenuti”.

I manifestanti chiedono il rilascio della leader civile destituita Aung San Suu Kyi, a capo della Lega nazionale per la democrazia, che aveva vinto a larga maggioranza le elezioni lo scorso novembre. Dopo il colpo di stato, la giunta militare ha arrestato molti esponenti del partito. La stessa San Suu Kyi rimane detenuta. Ieri avrebbe dovuto presentarsi a un’udienza in videoconferenza, che però non si è tenuta per mancanza di connessione internet, ha comunicato l’avvocato della leader all’agenzia di stampa Reuters. La prossima udienza è prevista per il 24 marzo.

La crisi aggrava le condizioni economiche del Myanmar

Il monitoraggio del World food programme (Pam, Programma alimentare mondiale) delle Nazioni Unite ha registrato un allarmante aumento dei prezzi del cibo e del carburante in alcune aree urbane del Myanmar, come conseguenza collaterale della crisi che sta vivendo il Paese. Nelle periferie di Yangon e Mandalay il prezzo del riso è aumentato del 4 per cento dall’ultima settimana di febbraio. Tra metà gennaio a metà febbraio il costo del riso è cresciuto in media del 3 per cento in tutti i mercati del Paese, con picchi del 20-35 per cento in alcune aree dello stato di Kachin. Nello stesso periodo, a Yangon il prezzo dell’olio di palma è aumentato del 20 per cento.

L’aumento dei prezzi colpisce anche il carburante, cresciuto del 15 per cento in tutto il Paese, a partire dal 1 febbraio. Il settore bancario, inoltre, è praticamente paralizzato.

“Sono dei primi segnali preoccupanti, specialmente per i più vulnerabili, che già vivevano senza la sicurezza di un pasto”, ha detto Stephen Anderson, direttore del Pam nel Myanmar. “In aggiunta alla pandemia di Covid-19, se i prezzi continuassero ad aumentare si comprometterebbe gravemente la capacità delle persone più povere e vulnerabili di avere cibo sufficiente per le loro famiglie”. Con il rischio di un aumento generalizzato dei cittadini in condizioni di indigenza.