Le donne stanno avendo un ruolo di primo piano nelle proteste che da settimane agitano il Myanmar. Dopo il colpo di stato dell’esercito che l’1 febbraio scorso ha portato alla destituzione e all’arresto della capa del governo Aung San Suu Kyi, il timore è che molte delle conquiste di genere avvenute durante il suo mandato possano essere cancellate da una classe militare molto conservatrice. In prima linea nei cortei che riempiono le strade, ma anche nel sostegno medico ai manifestanti e nell’organizzazione delle proteste, le donne birmane lottano oggi per i propri diritti e per quelli delle generazioni future.

Proteste a leadership femminile

Che le donne birmane stiano avendo un ruolo da protagonista nei cortei contro il colpo di stato dell’esercito lo si capisce leggendo i tragici bollettini giornalieri che arrivano dalla capitale economica Rangoon. In molte hanno perso la vita a causa della repressione violenta delle proteste da parte dei militari, la cui furia non ha risparmiato nemmeno i minori. E sono tante anche le donne sono state arrestate. Basta poi guardare le immagini delle manifestazioni per rendersi conto di come la simbologia femminile abbia un ruolo di primo piano in queste settimane di tensione.

Le strade si sono trasformate in gallerie di vestiti sospesi, dal momento che le donne hanno steso i loro panni su fili tirati da una parte all’altra delle vie. Camminare sotto a questi indumenti è considerato un elemento porta sfortuna per gli uomini, una leggenda che racconta bene il conservatorismo che permea la società. Oltre a questo, in alcuni casi al fianco dei vestiti femminili campeggiano le foto del generale Min Aung Hlaing, la guida del colpo di stato, in quello che è visto come un affronto. Infine, le manifestanti indossano in molti casi jeans e pantaloni, una sfida alle tradizioni locali tanto che il capo dell’esercito ha parlato di “una cosa indecente”. Ma le donne non sono solo leader nelle proteste, ma anche in ciò che vi ruota attorno. In diversi quartieri urbani si sono organizzate per creare équipe di medici volontari con cui offrire soccorso ai manifestanti feriti dalla brutalità dell’esercito. 

La paura di un ritorno al passato

Quello che ha portato le donne in piazza in Myanmar è il timore che tutte le conquiste ottenute durante il mandato di Aung San Suu Kyi possano essere ora cancellate. La condizione delle donne nel paese è contraddittoria, da una parte vi è un’integrazione nel mercato del lavoro ben più vasta rispetto ai paesi limitrofi e anche la rappresentanza politica è in crescita, come mostra il fatto che il 20 per cento dei candidati del partito di maggioranza alle ultime elezioni del novembre scorso era di sesso femminile. Tutto questo però avviene in uno stato che resta fortemente conservatore e patriarcale, dove i diritti delle donne vanno aumentando ma restano in un equilibrio precario. 

L’avvento dei militari rischia di essere un elemento di rottura e di ritorno al passato. Le dichiarazioni dei generali sull’abbigliamento delle manifestanti e la presa che ancora hanno tradizioni come quelle degli stendini per indumenti femminili, o quella secondo cui vestiti di uomini e donne non possono essere lavati insieme, dimostrano il conservatorismo che permea il pensiero dei nuovi detentori del potere. Ma non c’è solo questo.

L’esercito non ha donne al suo interno, che dunque si ritroveranno con una rappresentatività politica pari a zero. Inoltre, sono numerosi i rapporti che inchiodano i militari per le violenze e gli stupri commessi nei confronti delle donne nel passato, in particolare nelle aree rurali. E la precedente esperienza di colpo di stato militare, alla fine del secolo scorso, aveva creato un contesto in cui le donne venivano escluse dall’educazione, dal lavoro e, di fatto, dalla società. Ecco perché le proteste di oggi in Myanmar sono un affare prima di tutto femminile: le prime vittime della transizione politica in atto saranno loro, le donne del paese.